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Cannabis light: equivoci e verità

di Vincenzo Leone

(Articolo tratto da Notizie Emmanuel, Anno XXXVIII, n.1-2, Gennaio/Febbraio, 2019)

È un mercato in grande espansione quello della cannabis light – un prodotto che oggi ha un basso contenuto del suo principio attivo, il Delta 9 Tetraidrocannabinolo (THC) – la cui vendita è partita in seguito alla emanazione della legge 242 del 2016, dimostratasi da subito fiorente, con un giro d’affari sempre più cospicuo e promettente.

 

Di cosa si tratta?

 

La legge 242 del 2016, entrata in vigore nel gennaio 2017, è stata emanata dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali con la finalità di un sostegno all’agricoltura, contrasto alla desertificazione dei suoli e salvaguardia della biodiversità, ma, di fatto, ha avuto come effetto collaterale quello di aprire un varco alla vendita legale di cannabis.

 

La legge contempla chiaramente alcune destinazioni d’uso – preparazione di alimenti e cosmetici, prodotti per l’industria e l’edilizia e a scopo ornamentale in ambito florovivaistico – ma esistono alcune “zone d’ombra” che hanno permesso la compravendita di prodotti derivati dalla canapa e rivolti ad altri scopi, destando in questo modo preoccupazioni per l’impatto sulla salute, sulla prevenzione e la promozione del benessere dei nostri giovani.

 

Sono almeno 61 i cannabinoidi, tra questi la cannabis sativa, che contiene moltissimi principi attivi tra cui il Delta 9 Tetraidrocannabinolo che è stato inserito nella tabella I del DPR 9 ottobre del 1990 n. 309 – TU sugli stupefacenti – e nella tabella II quando si tratta di cannabis (foglie e inflorescenze). Per questo composto, la Legge 242 del 2016 ha disposto un valore al di sotto dello 0,6% per i coltivatori e il limite dello 0,2% per la vendita dei prodotti, allo stesso tempo, non prevede la vendita di inflorescenze e nessuna menzione alla possibilità di commercializzarle per uso ricreativo.

 

È ampiamente dimostrato che i derivati della cannabis interagiscono con il sistema endocannabinoide, un importante sistema neuro-modulatorio coinvolto in numerose funzioni fisiologiche, distribuito nel Sistema Nervoso Centrale e periferico e in molti organi deputati alla funzione immunitaria.

 

Anche se l’uso della cannabis ha origini antichissime, solo di recente si è iniziato a comprendere la modalità con cui agisce. Risale al 1964 la scoperta del THC, il composto più importante, responsabile degli effetti psicotropi; mentre i due principali recettori endocannabinoidi, CB1e CB2, sono stati identificati, rispettivamente, nel 1990 e nel 1993.

 

La scoperta di recettori endocannabinoidi ha incuriosito i ricercatori, la loro presenza, infatti, poteva significare che il nostro organismo poteva produrre normalmente una sostanza “simil THC”, e infatti nel 1992 è stata individuata l’anandamide – la parola deriva da “ananda” che, nell’antico Sanscrito, significava felicità, beatitudine, appunto per indicarne gli effetti – essa è il primo agonista endogeno, pertanto le ricerche hanno dimostrato che il THC interferisce con la normale omeostasi cerebrale allo stesso modo degli oppiacei, che interagiscono con le endorfine.

 

Le funzioni del sistema endocannabinoide si possono sintetizzare in: regolazione degli stimoli dolorifici mediante la interazione con il sistema oppioide endogeno; controllo motorio attraverso il sistema dopaminergico; apprendimento, consolidamento della memoria, funzioni cognitive; regolazione dei ritmi sonno-veglia, reazioni emotive e stress; regolazione della fame e sazietà mediante la modulazione dell’ormone leptina; corretta funzionalità cardiaca e del sistema immunitario e riproduttivo. Essa ha, inoltre, un ruolo centrale nei meccanismi neurobiologici della gratificazione e della motivazione.

Le funzioni e le possibili ripercussioni sullo stato di salute nel breve e lungo termine dell’assunzione di sostanze cannabinoidi dall’esterno sono dunque molteplici, è quindi necessaria la preoccupazione e la cautela nel loro uso. Queste considerazioni possono valere anche per la cannabis light che, pur se a basse dosi di principio attivo, a causa dell’effetto farmaco-tossicologico del Delta 9 Tetraidrocannabinolo è estremamente variabile da individuo a individuo, senza trascurare che la permanenza e la durata degli effetti risentono enormemente sia della modalità di assunzione, sia dall’uso abituale e ripetitivo, nonché dall’interazione con altre sostanze.

 

La concentrazione plasmatica, purtroppo, non è un indice sufficiente per un’effettiva valutazione degli effetti psicotropi della sostanza, essa ha certamente una spiccata lipo-solubilità, per questo, è più presente nel cervello e negli organi ricchi di grasso e questa, caratteristica spiega la particolare affinità con il tessuto cerebrale e la facilità di attraversare la placenta, con effetti dannosi sul feto. Questi aspetti hanno fatto sì che il Consiglio Superiore della Sanità esprimesse preoccupazione in merito ai rischi per la salute causati dall’esposizione a questa sostanza, in particolare per quelle persone più fragili e vulnerabili.

 

Considerato quanto detto, allora, occorre senz’altro considerare la possibilità di chiarire alcuni aspetti della legge 242 del 2016, soprattutto rispetto alle sue interpretazioni e applicazioni, nonché per quanto riguarda la regolamentazione dei negozi e la vendita dei prodotti; accanto a questo è necessario e urgente anche riflettere e agire sulla prevenzione, non solo sul versante dell’offerta ma anche su quello della domanda. E, tra gli obiettivi, avere anche quello di formare giovani che sappiano rispettare la meraviglia della fisiologia del nostro cervello e sappiano dire no a qualsiasi sostanza che interferisca con il suo sano funzionamento.

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