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Carcere e Comunità Emmanuel

Intervista a Luca Leone e Giorgio Orsucci

L’accoglienza in alternativa alla detenzione intra moenia

L’Ufficio Giuridico.
Intervista a Luca Leone, Responsabile dell’Ufficio ed Educatore del Centro Terapeutico “Tenda d’Abramo” di Lecce.

di Raffaella Zizzari

La Comunità Emmanuel accoglie utenti tossicodipendenti da oltre trent’anni, anche quando gli accolti hanno problemi giudiziari. Ci può dire qual è la procedura di accoglienza della Comunità rispetto a questi ultimi?
L’accoglienza che fa la Comunità Emmanuel si attua a prescindere dallo status giuridico dell’ospite; nello specifico: sia che il soggetto abbia la qualità giuridica di imputato, sia che abbia quella di condannato, o che abbia in corso una misura di prevenzione o sicurezza, le nostre Sedi Operative sono idonee a gestire queste varie tipologie di accoglienza. Certamente negli anni il nostro il modus operandi si è evoluto e perfezionato, soprattutto per quanto concerne l’accoglienza, infatti, l’accoglienza presso la Comunità si attua attraverso l’adempimento di una procedura, su espressa richiesta del Ser.T. di riferimento della persona che richiede accoglienza. Inoltre, il criterio di ingresso nei nostri Centri Terapeutici prevede vari passaggi di carattere sanitario-giuridico, una anamnesi completa e l’espressa domanda di ingresso.
La procedura d’ingresso prevede: la sottoscrizione del nostro regolamento interno; la formale richiesta di inserimento in Comunità da parte del Ser.T. che prescrive l’iter; la dichiarazione di idoneità del nostro programma redatta dal Ser.T.; la documentazione socio-sanitaria inerente il soggetto richiedente accoglienza.
Completato questo iter burocratico e tenuto conto degli eventuali posti liberi in convenzione, si attua l’ingresso in Comunità. La procedura, che formalmente consiste nell’istruzione del fascicolo giuridico, è a carico dei nostri Centri Ascolto ubicati sul territorio nazionale e la valutazione relativa all’ingresso e la scelta – successiva – della Sede dove la persona sarà accolta è di competenza di una Commissione Giuridica che si riunisce una volta la settimana.

L’accoglienza di utenti che abbiano anche problemi giudiziari implica necessariamente una stretta collaborazione con gli organi istituzionali preposti a questo. Ci può dire come si attua concretamente questa collaborazione?
Il riconoscimento dell’idoneità ad accogliere alcoltossicodipendenti con lo status giuridico di imputato, prima del 2009 era dichiarata con decreto del Ministero della Giustizia e successiva pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale; dal 2009, con il passaggio di competenze al Servizio Sanitario Nazionale, sono stati inclusi anche alcoltossicodipendenti con la qualità giuridica di condannati/imputati e la gestione dei casi, che viene definita con gli UEPE (Ufficio Esecuzione Penale Esterna – ex CSSA) del Ministero della Giustizia – che è l’organo preposto alla vigilanza della corretta esecuzione della pena da parte del soggetto beneficiario in affidamento o in detenzione domiciliare – si è consolidata e adeguata al sistema previsto dal Ministero delle Comunicazioni in materia di posta elettronica: tutte le istanze vengono inviate tramite mail agli indirizzi UEPE, ottimizzando così tempi e modalità; per meglio gestire il carico di lavoro sono stati inoltre redatti protocolli d’intesa tra la Comunità Emmanuel e le Direzioni UEPE; l’Ufficio Giuridico, infine, si occupa del coordinamento tra l’ospite, il suo legale di fiducia, le Autorità Giudiziarie procedenti e l’UEPE.

Quali novità ha apportato il decreto-legge 1 luglio 2013, n.78 – il cosiddetto “Scuota Carceri” – nell’ambito comunitario e lei cosa pensa in merito a questo?
Nel mese di gennaio di quest’anno, dopo riunioni svolte con i Magistrati di Sorveglianza e con la Direzione dell’UEPE, dovendo adeguarci al nuovo decreto legislativo, ci siamo trovati a dover rivoluzionare il nostro modus operandi da un punto di vista tecnico giuridico per adempiere alle nuove disposizioni di legge.
Nello specifico, allo stato attuale, le istanze da inoltrare in favore dei nostri utenti affidati in prova (ex art. 94 D.P.R. 309/90) devono essere preventivamente previste e inglobate in una proposta terapeutica personalizzata in base alle caratteristiche terapeutiche-sociali-familiari-sanitarie-lavorative che presenta l’accolto fin dal suo ingresso in Comunità.
Questa preventiva predisposizione e programmazione può essere modificata con un’apposita procedura d’urgenza qualora la situazione personale dell’affidato dovesse modificarsi nel tempo e, in ogni caso, questa personalizzazione del programma dovrà essere trimestralmente aggiornata con apposita relazione da trasmettere alla Direzione dell’UEPE.
Questo decreto lascia, ovviamente, alla Comunità la titolarità esclusiva nell’elaborazione e redazione della modalità psicopedagogica d’intervento sull’utente, ma mi preme sottolineare che tale nuova procedura comporta, di contro, una grossa mole di lavoro a carico delle le varie équipe dei nostri Centri Terapeutici, già ordinariamente e straordinariamente oberate.

Gestire utenti alcoltossicodipendenti ha una sua responsabilità, quando poi ai problemi di dipendenza si aggiungono quelli di natura giuridica, immagino che la responsabilità aumenti. Lei cosa pensa al riguardo?
L’impegno, come ben si comprende, è tanto, anche perché occorre interagire necessariamente con vari organi istituzionali come la magistratura di Sorveglianza e gli UEPE, e anche perché rispetto agli accolti è ovvio che un utente che è imputato o già condannato ha delle problematiche, delle istanze in più rispetto agli altri. Per quanto mi riguarda, e facendo tesoro anche della mia esperienza, posso dire che mi sento enormemente appagato quando, a prescindere dalla misura giuridica da gestire in modo tecnico, il detenuto, diventato “libero” dopo aver rielaborato e annullato le vecchie logiche che lo avevano condotto a delinquere, riesce a programmare il suo rientro in società in modo maturo e responsabile.

Il servizio all’interno del carcere.
Intervista a Giorgio Orsucci, referente nei rapporti con le case circondariali di Lecce, Brindisi e Taranto e il Tribunale di Lecce.

Lei, all’interno della Comunità Emmanuel si occupa dei colloqui con i tossicodipendenti che devono entrare in Comunità in alternativa al Carcere, come è cominciato questo suo servizio?
Nel 1998, Esa, una delle volontarie fondatrici e poi presidente della Comunità Emmanuel, mi invitò ad accompagnarla a visitare un ragazzo che era stato arrestato ed era stato condannato a più di vent’anni per concorso in omicidio e associazione mafiosa; io la accompagnai per aiutarla in quello che doveva essere il primo colloquio con questa persona, poi ce ne fu un secondo, un terzo, un quarto. All’interno di questi colloqui si sviluppò anche un’attività più allargata, infatti, alcuni detenuti della sezione in cui era il ragazzo, cominciarono a fare richieste e domande: il mio servizio per la Comunità all’interno del carcere è cominciato così.

E dopo questo primo momento che cosa è accaduto?
Dopo le richieste e domande di cui parlavo prima è partita un’autorizzazione della Direzione di allora per dei colloqui specifici su richiesta precisa del detenuto. Con il passare degli anni, l’attività è divenuta importante e la Direttrice ci ha proposto come assistenti volontari a trecentosessanta gradi, non eravamo più tenuti, infatti, ad ascoltare esclusivamente i detenuti tossicodipendenti, ma potevamo ascoltare qualunque altro detenuto, da quelli di alta sicurezza, agli extracomunitari e tutte quelle altre situazioni che il carcere poteva presentare. Nel tempo, il lavoro si è oltremodo sviluppato, favorito anche dal fatto che gli ingressi in Comunità per quanto riguardava i tossicodipendenti “liberi” – senza cioè nessuna misura cautelare, né alcun tipo di misura giudiziaria – stavano diminuendo a vista d’occhio. Da circa dieci anni, infine, il 40-50% dei nuovi ingressi nella nostra Comunità arriva dal carcere di Lecce – che essendo uno dei più grandi a livello nazionale fornisce un numero più alto di richieste – il resto delle accoglienze arriva da tutti gli altri Istituti penitenziari situati sul territorio nazionale.

Come si sviluppa in concreto il suo lavoro?
Io vado in carcere quattro o cinque volte la settimana e faccio i colloqui, spesso vado anche per uno o due colloqui soltanto non aspettando liste di attesa più lunghe e questo non solo perché la situazione all’interno del carcere è sempre al limite, ma anche perché noi operatori abbiamo bisogno di sviluppare con la persona detenuta un rapporto che sia ordinario, “normale” e più regolare possibile. Io, poi, mi occupo anche di un Centro nel quale sono accolti esclusivamente ragazzi in alternativa al carcere per il quale è molto importante lavorare in sinergia con le altre figure professionali presenti all’interno della struttura carceraria; molto importante, infine, è anche la relazione stabilita con il Tribunale perché questo facilita il mio lavoro e rende più agevole la possibilità di entrare in relazione con i ragazzi che incontro e che sono sempre bisognosi di consigli e di risposte per i loro problemi.

In base alla sua esperienza, cosa pensa della situazione del carcere oggi?
Penso che è una situazione allarmante, e non da oggi, e non solo a Lecce, anzi a Lecce da tre o quattro anni i numeri sono in leggera inflessione. Le celle, nate per ospitare una sola persona, ne ospitano tre; qualcuno lavora, però le attività proposte sono sempre in numero insufficiente rispetto ai bisogni; la maggior parte dei detenuti non fa niente, rimane in cella e aspetta o che il tempo passi, o che possa usufruire di quelle due ore d’aria, divise tra mattina e pomeriggio, peraltro in quelle due ore d’aria i detenuti passeggiano e si ritrovano con altri detenuti; queste passeggiate, inoltre, talvolta si trasformano in vere e proprie “lezioni di malavita”, perché vecchi malavitosi, forse anche senza volerlo, non mancano di “introdurre” il giovane – magari solo alla prima o alla seconda carcerazione – ad attività malavitose più serie e finiscono per trasformare quello che dovrebbe essere un momento di recupero e distacco dalle situazioni che li avevano portati a delinquere a veri e propri boomerang sul piano riabilitativo.

E sul carcere di Lecce, che cosa pensa?
Per quanto riguarda il Carcere di Lecce, si sta avviando un discorso che è partito da un paio di anni e che negli ultimi mesi si sta concretizzando: c’è una sezione pilota in cui ci sono le celle aperte per otto ore al giorno e si prevede che questa apertura si potrà sviluppare ed applicare su quasi tutte le sezioni e quasi tutto il carcere. Resta però il problema che è necessario comunque proporre altre attività e per realizzare questo sicuramente ci sarà bisogno di un maggiore coinvolgimento delle associazioni di volontariato. La Direzione ha già avanzato delle proposte per avviare corsi di formazione – anche se, per il momento, solo per un numero ridotto di soggetti – finalizzati ad attivare nuove possibilità che permettano al detenuto di utilizzare il tanto tempo che ha disposizione in maniera proficua per se stesso, per il suo futuro reinserimento nella società e anche per il sistema carcerario nel suo insieme.

Mi può dire qualcosa rispetto all’approccio che lei, in quanto operatore della Comunità Emmanuel, ha con il detenuto?
Seguo l’iter procedurale previsto dalla Comunità per l’accoglienza dei soggetti detenuti: di solito la segnalazione del caso – che scandisce l’inizio dell’iter – parte dai Ser.T. competenti con un contatto diretto oppure attraverso i nostri Centri Ascolto oppure dagli Avvocati, o ancora dagli educatori dell’Istituto, dagli assistenti sociali dell’UEPE del territorio o direttamente da una richiesta del detenuto che viene formalizzata attraverso una richiesta (domandina) che, una volta autorizzata dalla Direzione, mi viene consegnata presso l’Ufficio Matricola dell’Istituto.
Con questa autorizzazione convoco il ragazzo per il primo colloquio che possiamo definire esplorativo e riguarda la conoscenza della situazione giuridica (se detenuto definitivo, giudicabile, ricorrente ecc.), lo stato di tossicodipendente se riconosciuto o ancora da definire da parte del Ser.T. territorialmente competente e infine la situazione familiare. Una volta raccolti i dati necessari, se ci sono i presupposti, effettuo un secondo colloquio e stabilisco un calendario approssimativo degli incontri successivi, nei quali cerco di approfondire le motivazioni reali necessarie per intraprendere un percorso riabilitativo e la situazione familiare e/o affettiva, per verificare la validità e la serietà e comprendere se questo può rappresentare un punto di riferimento o di criticità nel percorso psico-pedagogico; questo aspetto rappresenta per me un punto fondamentale per la valutazione finale, in questi colloqui, inoltre, evidenzio tutte le difficoltà che il ragazzo può trovare un volta entrato in Comunità, il più delle volte preferisco approfondirle, precisarle e, se lo ritengo utile, rimarcarle anche esageratamente, in modo che l’interessato prenda coscienza che dovrà affrontare un percorso serio, a volte non facile, che lo porterà a confrontarsi e a superare con l’impegno personale e con l’aiuto degli operatori gli ostacoli che il contesto comunitario con le sue regole propone.
Dopo questi passaggi si avvia la procedura burocratica con il Ser.T. o con l’Avvocato o, in alcuni casi, con il coinvolgimento di entrambi, affinché la documentazione necessaria trovi una formulazione corretta, completa e che possa essere presentata al Tribunale, o al Magistrato, in tempi non troppo lunghi.

In questo percorso che lei compie insieme al ragazzo, qual è il compito che è suo proprio e questo percorso quanto serve al ragazzo per prendere in mano la sua vita e darsi responsabilmente obiettivi di recupero ?
Per certi versi per il ragazzo è più comodo stare in carcere che in Comunità perché, è vero, in una cella si sta in tre, ma il regolamento interno alla cella lo decidi tu, lo decidono i tuoi compagni e finisce lì; quando arrivi in Comunità, invece, intanto ti trovi a dover vivere e convivere con altre persone con le quali devi entrare in relazione, e poi: ci sono gli orari da rispettare, le attività pedagogiche ed ergoterapiche da prendere sul serio, non trovi certamente una situazione comoda e facile, il nostro iter riabilitativo è impegnativo, per certi aspetti e in alcuni casi anche più gravoso dello stare in carcere, perciò in questo momento del percorso, il mio compito e la mia preoccupazione è sempre e soprattutto quella di mettere al corrente il ragazzo delle difficoltà che incontrerà.

Adesso facciamo qualche numero: quanti detenuti segue nell’arco di un anno? Di questi quanti entrano in Comunità e quanti rispondono positivamente alla proposta di recupero della stessa?
Seguo annualmente in media 150 detenuti, di questi più del 40% viene accolto nei vari Centri della Comunità. Per quanto riguarda la risposta: talvolta ti aspetti un certo atteggiamento e invece ne trovi un altro, talvolta accogli con tanti punti interrogativi e invece ci sono risposte eccezionali, quindi una regola precisa non esiste, tuttavia di solito le risposte sono buone e i risultati – grazie anche a un metodo che ci siamo dati – sono riscontrabili.

Rispetto alla relazione che hai con la persona, puoi raccontarci qualche esperienza che in qualche modo è stata pedagogica anche per te?
Sul piano generale, il risvolto pedagogico per me è che questo servizio non solo mi ha portato a sviluppare meglio la mia capacità di ascolto, ma mi porta anche da un lato a entrare in una relazione con la persone che va oltre la loro tossicodipendenza e detenzione e, dall’altro, a essere vicino a loro e alle loro famiglie: io non faccio discorsi filosofici, faccio ciò che devo fare e questo mio modo di propormi li aiuta a una presa di coscienza reale e concreta, fondamentale per affrontare al meglio la nuova esperienza comunitaria. Se poi scendo su di un piano più particolare posso dire che spesso mi trovo a seguire ragazzi che tante volte, stando in comunità, ricevono altri titoli definitivi per vecchi reati, non rientrano più nel limite degli anni previsti dalla legge per la permanenza in Comunità e sono costretti a rientrare in carcere, con loro ho dei rapporti che non sono finalizzati solo a un eventuale futuro e ipotetico ritorno in Comunità, ma hanno il carattere del sostegno morale o, semplicemente, relativo alle pure necessità materiali, in questo senso un rapporto importante è nato con un ragazzo che dopo quasi venti mesi di Comunità, è stato accusato per concorso in omicidio ed è stato condannato a trent’anni di carcere; per lui, purtroppo, di tornare in Comunità non se ne parla, ma io ho conosciuto la sua famiglia e, almeno una volta la settimana, vado a trovarlo, lui dice che quando mi vede è contento e io sono contento di vederlo più sereno. È molto legato alla Comunità, è molto legato a padre Mario, ogni ultimo venerdì del mese aspetta che entri in carcere il pulmino con scritto Comunità Emmanuel e dice: «ah, questa è la mia Comunità», quando esprime questo concetto mi emoziono. L’attività dell’ultimo venerdì del mese si svolge in collaborazione con l’Associazione “Il Bruco”, che ha programmato mensilmente degli incontri tra le mamme detenute e i loro figli ancora minorenni; la Comunità Emmanuel fornisce i mezzi di trasporto per condurre questi figli minorenni all’interno del carcere, dove le mamme li aspettano per svolgere con loro attivo ludico-ricreative.

Alla fine della giornata si ferma a ripensare a quanto è accaduto e alle – credo inevitabili – difficoltà che può avere incontrato, che cosa la spinge, a partire, e ripartire ogni giorno di nuovo?
Sì, ci sono giornate molto impegnative e piene di tantissime cose da fare, per cui la sera, soprattutto quando, tirando due somme, mi rendo conto di aver concluso poco, di non aver risolto niente, magari di avere accumulato solo una serie di negatività e di dovere, il giorno dopo, ripetere lo stesso iter, devo trovare la forza di ricominciare, ma non perdo mai la volontà di rimettermi al lavoro, di rimboccarmi le maniche e, nei momenti di difficoltà… da qualche anno sto facendo un cammino di fede, e quando dentro di me non riesco a trovare la motivazione in modo spontaneo e naturale, il ricorso al Vangelo mi aiuta.

Ufficio Giuridico
Centro Base “Villa Marsello”- Lecce
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