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GAP alias Gioco d’Azzardo Patologico

A nuovi bisogni, nuove risposte.

GAP, alias: Gioco d’Azzardo Patologico. A nuovi bisogni, nuove risposte.

Il Gambling, o gioco d’azzardo patologico, ha già assunto le caratteristiche di una dipendenza diffusa e in crescita. I servizi, sia del pubblico, sia del privato sociale, sono chiamati a dare a questo nuovo bisogno risposte differenziate e specialistiche: sono in grado, o messi in grado, di farlo?

Lo abbiamo chiesto al dr. Antonio D’Amore, responsabile dell’Unità Operativa “gambling patologico” della ASL di Caserta.

di Raffaella Zizzari

Il Gambling, o gioco d’azzardo patologico, ha già assunto le caratteristiche di una dipendenza diffusa. Il giocatore dipendente/gambler è un appassionato del gioco che, però, ha perso il controllo del suo impulso sullo stesso, per cui la sua passione volontaria si trasforma in una necessità incontrollabile. Gli esperti ci dicono che non esiste una personalità particolarmente predisposta alla dipendenza dal gioco, esistono però alcuni tratti che, più o meno, coincidono con quelli osservati in altri tipi di dipendenza, vale a dire: mancanza di autocontrollo che si manifesta in comportamenti impetuosi e impulsivi; bassa autostima ed elementi che costituiscono la personalità narcisistica e antisociale; accanto ad essi, il sovraccarico di stress, la sensazione di solitudine e la difficoltà di concentrazione sono fattori caratteriali, o situazionali, che, venendo meno la capacità di autocontrollo, facilitano l’insorgenza di tale dipendenza.

Ad aggravare la situazione del gambling patologico inoltre concorrono, da un alto, l’incitazione proveniente dalla pubblicità, dall’altro, la disponibilità immediata degli strumenti di gioco – tra questi, quelli che danno più dipendenza sono slot-machine e roulette, perché avvicinano di più scommessa e premio – le ricadute pesantissime su situazione lavorativa, relazioni familiari ed economia del gambler e i servizi, sia pubblici, sia del privato sociale, che spesso non sono messi in grado di rispondere a questa nuove forma di dipendenza in maniera adeguata al bisogno ed efficiente.

 

Dr. D’Amore, Lei è il Direttore del Dipartimento di Dipendenze Patologiche della Asl di Caserta, da tanti anni si occupa di dipendenze da sostanze, come è arrivato a pensare alla necessità di un intervento specifico per il gioco d’azzardo patologico?

Siamo arrivati a pensare a qualcosa di specifico per il giogo d’azzardo, perché nel 2002/2003 sono cominciate ad arrivare richieste di aiuto per questo problema. Noi, come servizio per le dipendenze patologiche, ci siamo trovati nella condizione di dover dare risposte a queste richieste di aiuto e la prima cosa che abbiamo pensato è stata che dovevamo offrire punti di riferimento, in un certo senso diversi, da quelli che erano i percorsi di recupero per altre forme di dipendenza. È per questo che, insieme alle direzioni delle AASSLL del casertano, abbiamo creato un’unità operativa che potesse curare solo disturbi comportamentali. Tale intervento è poi divenuto concreto con una delibera del 2005 e ufficiale quando – attraverso i media e il coinvolgimento di medici di medicina generale, scuole e farmacie – abbiamo realizzato una campagna di sensibilizzazione sul territorio e l’avvio dell’intervento.

 

Qual è l’entità del fenomeno del gioco d’azzardo patologico su tutto il territorio nazionale?

Uno studio dell’Ipsad parla di mezzo milione di italiani che soffrono di gambling patologico – gioco d’azzardo patologico – tuttavia le proiezioni, vista la crescita del fenomeno, sono destinate ad aumentare: le informazioni in nostro possesso dicono, infatti, che intorno a questo problema c’è un grosso giro d’affari, con un passaggio dai 10-15 miliardi di euro del 1999 ai 60 miliardi di euro del 2009 e con una proiezione, per il 2011, di circa 80 miliardi di euro accompagnata da un’offerta di gioco in continuo aumento, anche perché, presto, sul mercato sarà lanciata la possibilità di giocare a roulette e a blackjack. Con l’introduzione, nel 1998, del superenalotto e, negli anni successivi, del gratta e vinci e della scommessa istantanea, milioni di italiani si sono avvicinati al gioco. L’offerta dunque aumenta e l’aumento dice che intorno al gioco c’è mercato.

 

Secondo lei, qual è la causa dell’aumento così vistoso del fenomeno?

La patogenesi del GAP trova varie stimolazioni: da una parte, come già dicevo prima, è aumentata l’offerta, dall’altra sono aumentati i bisogni – quando domanda e offerta si incontrano… – a questo deve aggiungere la grave crisi economica che stiamo vivendo, essa favorisce comportamenti che nell’immaginario collettivo danno l’illusione di risolvere immediatamente ogni problema; in una simile situazione è facile mettere in campo un’offerta, ed essa c’è, è molto varia e facilmente accessibile.

Ci può fare un esempio di queste offerte facilmente accessibili?

Un esempio che mi viene subito alla mente è quello di distributori automatici di gratta e vinci.

Qual è il target dei giocatori? E la Puglia che cosa registra in tal senso?

Giocano tutti e a tutti i livelli sociali, ma una cosa preoccupante è data dal fatto che molti dei giocatori sono minorenni, è vero che – per esempio sui distributori automatici di gratta e vinci – esiste la scritta che i giochi essi sono vietati ai minori di 18 anni, ma sappiamo che i ragazzi giocano, e anche in forma abbastanza importante. Per quanto riguarda la Puglia, poi, sempre dallo studio Ipsad che citavo prima risulta che la Puglia è tra le prime regioni d’Italia a registrare un notevole sviluppo del gioco, soprattutto tra i ragazzi, infatti, mentre nel 2000 nella nostra regione  giocava il 35% dei ragazzi, nel 2009 la percentuale è salita al 57% ed è ancora in crescita.

 

Secondo lei lo Stato ha una responsabilità nell’incremento del fenomeno e, al contrario, che cosa potrebbe mettere in atto per arginarlo?

Intorno al gioco si è creata una vera e propria economia, è un’economia molto forte, perché muove posti di lavoro, interessi, investimenti, inoltre l’erario non partecipa più alla divisione degli utili e questo rende ulteriormente più difficile sradicare la situazione che si è venuta a creare. È certo che pensare di far intervenire lo Stato con azioni di tipo proibizionista non è possibile – penso che uno Stato punitivo di tipo repressivo porterebbe all’effetto contrario – ma non si può certo pensare che si possono risollevare le sorti dell’economia anche con interventi che possono creare dipendenza, ciò, poi, vale a maggior ragione se si considera che nonostante la Finanziaria 2003 abbia privatizzato i Monopoli di Stato, le entrate delle accise sono rimaste pressoché stabili, o sono cresciute in modo quasi ininfluente.

Lei dice che intorno al gioco si è creato un mercato che favorisce anche posti di lavoro, ma allora, cosa è più importante – e quindi da tutelare – il lavoro o quello stare bene che rientra nell’ambito delle politiche per la salute?

La risposta potrebbe sembrare scontata, ma non lo è: è nostro dovere tutelare entrambi, perché entrambi sono diritti garantiti dalla Costituzione! Lo sforzo, allora, come Istituzioni, società civile, ecc., deve essere quello di rispondere ai bisogni dei cittadini dando precedenza, laddove dovessero esserci dei conflitti, alla tutela della salute. Certamente l’ottica è sempre quella delle libere scelte, ma è chiaro che non possiamo investire per il lavoro e togliere investimenti alla salute.

Alla luce di quanto dice che cosa dovrebbe fare di più lo Stato per rispondere al problema del gambling patologico? E che cosa i servizi fanno già e dovrebbero fare meglio?

Lei deve sapere che il gioco d’azzardo ha ripercussioni, a livello sociale, che sono a dir poco spaventose – dal livello legale a quello dell’usura – tali ripercussioni vanno a intaccare l’ambito delle relazioni in generale e delle relazioni familiari, in particolare. Di fronte a un problema di questa portata i servizi – sia pubblici, sia privati – prendono in carico il paziente con tutta la sua famiglia con interventi che devono per forza di cose essere completi e complessi; questa complessità ha bisogno di figure professionali adeguatamente formate, allora sarebbe necessario che lo Stato investisse di più per rispondere a questa emergenza e non lasciare i servizi a combattere – in prima linea e da soli – questa “guerra” che, per essere combattuta, deve avere le armi giuste.

 

Potrebbe descrivere quale potrebbe essere una modalità di intervento dei servizi?

Parto dalla mia esperienza. In primis è importante dare risposte alle criticità, e la criticità è data dal fatto che il giocatore d’azzardo ha bisogno di percorsi strutturati in maniera completamente diversa dagli altri servizi per le tossicodipendenze; mi spiego meglio: sarebbero necessari servizi con un’identità precisa, con percorsi di recupero con le figure dello psicologo e dell’assistente sociale più centrali rispetto a quelle dei medici, e con centri di accoglienza diversi rispetto a quelli tradizionali di accoglienza e recupero. Fatto questo passaggio – che dovrebbe essere il primo – l’altro passaggio dovrebbe essere quello di mettere nelle condizioni i pazienti di capire che il gioco in generale, e quello d’azzardo in particolare, non è un semplice vizio, ma una vera e propria patologia bisognosa di un intervento e sa qual è il modo per mettere in condizione i pazienti di capire questo? È quello di identificare gli interventi con un servizio specifico, facilmente rintracciabile sul territorio e in grado di dare risposte precise alla specificità del problema.

Se si volesse ricapitolare in estrema sintesi quello che Lei ha detto fino ad ora, si potrebbe dire che a bisogni diversi, bisogna dare risposte differenziate. La Sua esperienza le dice che ci sono le condizioni, in ambito nazionale e regionale, per procedere in questo senso?

La sfida di differenziare i servizi – non solo quelli pubblici, ma anche quelli del privato sociale come la Comunità Emmanuel – è impegnativa e molto spesso priva di copertura economica: a richieste di aiuto specifiche – la dipendenza da cocaina, la presenza di patologie di dipendenza da sostanze e problemi psichiatrici o, appunto, il gioco d’azzardo – hanno bisogno di interventi specializzati e di risorse economiche adeguate. È necessaria, dunque, non solo una differenziazione dei servizi e delle specializzazioni al loro interno, ma anche delle risorse economiche da destinare a entrambi. Ora, io spero che con la regionalizzazione della Sanità – ora permessa dalla riforma del Titolo Quinto della Costituzione – non si verifichino disparità di trattamento legate a una diversa gestione amministrativa delle risorse regionali perché questo per i cittadini oltre che  incostituzionale sarebbe ingiusto: non è assolutamente accettabile che uno stesso paziente cocainomane costi, faccio un esempio, 100 euro al giorno il Lombardia e solo 20 in Puglia; allora lo sforzo istituzionale deve essere orientato a fare sì che i livelli di assistenza siano uguali per tutti e a tutti i livelli geografici, ma perché si possa ottenere questo sia gli operatori del settore – del pubblico e del privato sociale – sia le Istituzioni devono elaborare e realizzare strategie che vadano in questo senso e che entrino in sinergia tra loro, aggiungendo – il che non guasterebbe – passione, buona volontà e, forse, un pizzico di coraggio in più.

Intervista pubblicata su: NotiziEmmanuel

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